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La componente educazionale: limite o risorsa?

Sovente nella pratica clinica ci si trova a confrontarsi con il retaggio dell’ educazione e la relativa implicazione nella vita del paziente, nonché sulla relazione tra la stessa e la strutturazione della sua personalità.
Accade spesso che nel descriversi le persone che utilizzano un’aggettivazione limitata di sé  e corrispondente a caratteristiche di “tranquillità”, “calma”, ma anche di “insicurezza”, “incertezza”,  “indecisione” e più in generale di poca consapevolezza circa le  proprie risorse,  sono le stesse la cui infanzia è stata caratterizzata da un atteggiamento genitoriale rigido e pressante sul versante educazionale.
L’impartire un’educazione  scrupolosa e sostenuta da prescrizioni del tipo “ stai attento”, “comportati bene”, “non fare…” , “evita di…..” , regolata dunque quasi esclusivamente da moniti prescrittivi, risulta essere in contraddizione netta rispetto alle componenti naturali di vivacità, esplorazione e curiosità, tipiche di ogni bambino.
Il rischio è che troppi divieti, un uso eccessivo della morale, un riferirsi costantemente a dogmi precostituiti portino il bambino a sedare la sua vivacità naturale, limitando ai massimi termini l’esplorazione autonoma del mondo esterno, oltre che del proprio mondo interiore.
Nella pratica clinica ciò equivale a trovarsi di fronte ad adulti che non hanno una percezione stabile di stessi in termini di idee e gusti personali, adulti con serie difficoltà rispetto al tema della scelta, attanagliati da un perenne senso di disagio e di “inadattabilità”.
Tali persone mettono costantemente in dubbio le loro valutazioni, percependosi non adeguati e spesso in difetto. Il sentirsi in difetto emergerebbe, infatti, quando si avverte che si è prossimi ad una variazione dalla norma precostituita e imposta dall’altro genitoriale, norma che dice certamente cosa non va fatto ma che non accenna affatto alla possibilità di utilizzarla secondo le proprie inclinazioni.
In tali casi tutto diventa un sacrificio operato sotto l’egida di una legge non scritta ma avvertita in tutto il suo peso specifico. Sacrificio, in fondo, del proprio essere per la vita a vantaggio di un codice che solo raramente si avverte come altro da sé.
Si può quindi sostenere che una buona educazione, esperita attraverso un’osservazione genitoriale indiretta, che passi soprattutto attraverso il rispetto degli altri, rappresenti un’ottima base per l’esplorazione e la crescita dell’individuo.
All’eccesso lo stesso costrutto tenderà invece a limitare fortemente il gradiente di libertà  e di progettualità autonoma, impoverendo sensibilmente la curiosità e l’interesse verso se stessi, limitando l’emergere naturale di inclinazioni, attitudini e risorse personali.